venerdì 24 gennaio 2014

TUCKETT

Ieri sera ho fatto due chiacchere al telefono con Patrizio, il quale si è preso in affitto un appartamento non distante dalle piste di sci e si diletta con la famiglia per l'intero fine ttimana.

Da ragazzi abbiamo fatto insieme un paio di escursioni in montagna, aveva una gamba notevole (pesava quanto un canarino...) ed essendo restato bello asciutto penso che vada come una scheggia tutt'ora, mi ricordo una volta sul lago della Vacca, un lago artificiale vicino al passo Crocedomini sulle alpi bresciane, siamo saliti a fine maggio e c'era ancora molta neve, la discesa la facemmo attraverso i canaloni, io con il mio K-way sotto al sedere scendendo a rotta di collo, Patrizio e Gigi a saltoni.

L'anno prima ero salito al rifugio Tuchet con altri tre amici e Lauro, fu un espeienza sciagurata, ma molto, molto istruttiva.

Partenza alle sei, il progetto prevedeva una sosta per l'aquisto di qualcosa da mangiare in loco, ma nessun negozio era ancora aperto alle otto, orario in cui arrivammo sul posto, decidemmo ugualmente di salire, era la mia prima escursione in montagna, avevo un paio di scarpe da ginnastica normalissime, pantaloncini corti, calze in cotone estive e maglietta a mezze maniche, nello zaino (lo zaino d'ordinanza di mio padre, non certo adatto alle escursioni) una mela, due panini e due sottilette cacciate dentro alla rinfusa da mia madre ed un provvidenziale maglione pesante.

Gigi, uno degli amici più grandi di me e Lauro, aveva chiesto informazioni sulla presenza di neve ed era stato rassicurato sul fatto che fino al rifugio il sentiero stato libero e sgombro.

Ma i problemi arrivarono rpesto, già a 1500 metri camminavamo nella neve, mancando ancora quasi ottocento metri di dislivello al rifugio qualche dubbio iniziò a serpeggiare, salimmo con la neve che via via salì fino alle caviglie, poi al ginocchio, la vasta pietraia prima del rifugio si dimostrò una trappola, ci trovavamo alternativamente con la neve alle caviglie e poi fino all'inguine a seconda di dove camminavamo, nessuna traccia del sentiero, la neve era fradicia, pesante, arrivammo al rifugio intirizziti, con i piedi congelati e senza nulla (o quasi) da mangiare.

Due dei nostri amici avevano in programma di salire fino alla cima del Castelletto inferiore, da alpinisti esperti fra andata e ritorno ci avrebbero impiegato non più di due ore, prima che partissero dividemmo le magre scorte, una fetta di mela, metà panino (circa), tre quarti di sottiletta...., io e Lauro avevamo una fame che si leggeva negli occhi, mi propose di chiedere qualcosa da mangiare a degli escursionisti che stavano mangiango a quattro palmenti a circa venti metri da noi, ma a sedici anni l'orgoglio è più forte dello stomaco.

Alcuni corvi iniziarono a volteggiarci intorno come avvoltoi, le battute si sprecarono, il freddo era atroce, non sentivamo più i piedi, riflettemmo, non troppo seriamente, sull'idea di sfondare la porta del rifugio (chiuso) per chiamare soccorso, ma Lauro obbiettò che vedendo tre stolti vestiti in quel modo il tizio sceso dall'elicottero di soccorso ci avrebbe preso a sberle lasciandoci lì.

Dopo mezz'ora di battute e di gelo polare tornarono i due amici scalatori, la visibiltà era pessima ed altre due cordate stavano
salendo, fin dai primi appigli si erano trovati in mezzo a molte pietre che precipitavano dall'alto, decisero di rinunciare.

Iniziammo a scendere a valle, ma dopo pochi minuti scese una nebbia fittissima, ci orientammo con il pali della teleferica che univa il rifugio ad un borgo più in basso, cademmo tutti rovinosamente nella neve fradicia più e più volte, nello scendere tagliammo il percorso e finimmo in una distesa di piante di mirtillo, ci graffiammo per bene le gambe (maledetti pantaloncini corti), giungere alla vettrura fu una vera e propria epopea.

In basso, accanto alla vettura, con una temperaura gradevole sembrava di essere in paradiso.

Nel tornare verso casa decidemmo di fermarci in una pizzeria, eravamo stanchi e molto affamati, appena entrati una ragazza vedendo il pelosissimo lauro in pantaloncini corti fece un commento sulla bellezza delle sue gambe l'amico rispose "egnòm dàl Tiuckett" nè più nè meno come se venissimo dalla cima del monte Bianco...

Ho imparato molto da quell'avventura, se vado a fotografare orchidee selvatiche anche solo sulle colline vicino a casa le scarpe da trekking le porto sempre con me (da marzo a settembre sono di fisso nel bagagliaio della mia auto), un paio di calze di cotone pesante, un K-Way pronto all'uso nello zaino ed una vestizione "a cipolla" completano il vestiario.

Mare e montagna sono luoghi splendidi, ma mai mai mai da sottovalutare, sia per una nuotata di mezzo miglio al largo od un escursione di un paio d'ore.

PS. perdonate gli errori di battitura della prima stesura.......

Il rifugio Tuckett,sullos fondo il castelletto inferiore

Nessun commento:

Posta un commento