giovedì 17 aprile 2014

L'ALBA DEL GIORNO DOPO

Un possibile futuro

Dopo la fuga precipitosa della notte, ci eravamo fermati sul ciglio della strada a riposare per qualche minuto, caricare in fretta e furia le poche cose che avremmo potuto portare era stato doloroso, ma la frenesia e la minaccia dell'ineluttabile catastrofe aveva spazzato via le remore.

Tutto quello che ci restava erano quattro piumoni con due ricambi per ognuno, quattro pentole e due padelle, due scatole stipate di cibo conservato, sei pacchi di acqua, un po' di cibo fresco contenuto nel frigo portatile, le due grosse valige con i vestiti e due borse di scarpe era tutto ciò di cui potevamo disporre, i nostri gatti erano nei due trasportini li mettemmo nel bagagliaio dell'auto di mia moglie.

L'incidente era avvenuto due giorni prima, l'incendio era visibile dalla nostra casa e impiegai pochi secondi per capire da dove provenisse, ne parlai con mia moglie e decidemmo di partire entro ventiquattr'ore se le fiamme avesserro continuato a divorare la base militare collocata sui primi contrafforti delle prealpi.

Per tutto il giorno prima decine e decine di autopompe ed elicotteri con grossi contenitori d'acqua prelevata dal lago di Garda erano accorsi e le sirene facevano da contrappunto ai clacson delle auto bloccate sulla tangenziale che era stata chiusa a metà mattina.

A tarda sera decisi che il rischio era troppo grande, chiudemmo tutte le finestre sprangandole e fissando dall'interno listelli robusti di legno che mi ero procurato il pomeriggio, li avvitai sul telaio degli scuri con lunghe viti autofilettanti, chiusi e sigillai l'abbaino, bloccai da dentro le basculanti dei garage, una minima speranza di poter tornare era doverosa, mia moglie decise di preparare i bagagli con mia figlia.

Nessuno risuscì a chiudere occhio, le sirene erano una colonna sonora continua, alle due decisi di partire, le auto erano cariche come muli, i serbatoi erano pieni, caricammo le ultime cose per riempire ogni spazio libero, e partimmo chiamando con i cellulari gli amici ed i parenti più prossimi avvertendoli  della nostra decisione ed esortandoli ad andarsene immediatamente.

Calcolai che un esplosione da cento megatoni avrebbe devastato in maniera diretta non meno di mille chilometri quadri eliminando ogni singolo batterio esposto al flash, il successivi diecimila chilometri quadri sarebbero stati esposti ad un fall out apocalittico, i venti, secondo le previsioni meteo,   avrebbero soffiato da ovest ad est per una settimana circa, decisi di muovermi verso ovest.

L'autostrada A4 era stata chiusa per far accorrere i mezzi NBC della protezione civile e dell'esercito, eravamo prossimi al disastro, imbocccai la statale per Cremona, la nostra destinazione era la riviera ligure.

Il viaggio continuò in un silenzio spettrale, alle sei di mattina eravamo a Genova, ma io volevo mettere un altro centinaio di chilometri alle mie spalle, il GR delle sei annuncò l'immediato sgombero di una ventina di comuni, fra i quali il nostro, era la fine, mio figlio che era accanto a me piangeva sommessamente.


Proseguimmo sulla A10 fino ad Andora dove ero certo che una vecchia amica di famiglia ci avrebbe ospitato nel suo minuscolo bilocale.
 Usciti dall'autostrada ci fermammo, stanchi, profondamente preoccupati, nessuno disse una parola per molti minuti, fu mia moglie a chiamarmi con il walkie talkie con cui comunicavamo fra un auto e l'altra, sapevamo che in caso di disastro i cellulari sarebbero stati inutilizzabili.
 Suonai il campanello della signora Tina alle nove di mattina.

Ci accolse incredula, le spiegammo dell'incombente ecatombe, la esortammo a chiamare la figlia, che abitava a Milano, a fuggire e a raggiungerla, ma la rete telefonica era in crisi a causa del sovraccarico, la raggiunse telefonicamente alle undici, stava lasciando l'abitazione, ma tutte le autostrade del nord Italia erano bloccate, avrebbe fatto il possibile per raggiungerla.

Passammo il pomeriggio a sbrigare alcune faccende, aprii un conto corrente in una banca locale svuotando con due assegni i nostri conti correnti personali, nella speranza che la transazione sarebbe avvenuta prima del disastro, mi assicurarono che entro domani avrei avuto i fondi a disposizione, ma io speravo solo che ci sarebbe stato un domani.

Venne la sera, una notte agitata vegliò sul nostro poco sonno, dormimmo sul pavimento del salotto, abbracciati, trascorremmo la mattina a sistemare i ragazzi nel garage della Signora Tina dove era stato realizzto un soppalco con due letti.

Alle tre di pomeriggio il tempo si fermò

Non ci fu rumore di alcun tipo, ma nessu gabbiano si levò in volo, il vento cessò di colpo e capimmo che era successo.

Restammo senza corrente, i telefoni non funzionavano più, la radio era muta, la TV un riquadro inerte.

L'onda d'urto fece il giro del pianeta per ben tre volte.

La stupidità aveva trionfato, le cento testate nucleari depositate a sei chilometri in linea d'aria da casa mia, ignorate da decine di governi, erano esplose, l'olocausto nucleare avrebbe spazzato via non meno di tre milioni di vite e distrutto per sempre la parte più produttiva del paese, i posti in cui ero
cresciuto, le splendide colline dove crescevano le orchidee selvatiche, la spiaggia dove facevo il bagno e soprattutto, molti dei miei affetti.

Dei miei fratelli, dei miei suoceri, di tanti amici ero certo non avrei saputo più nulla

L'alba della mattina successiva dipinse il giorno di un rosso vivido che riempì il cielo, collegando l'antenna del mio walkie talkie al cavo dell'antenna TV iniziai a sentire sui vari canali  cosa fosse successo e della gravità dell'accaduto, in Italia il governo non esisteva più, la barca era squartata ed i topi stavano fuggendo dalla stiva...

Dovrò trovare la forza di ricominciare tutto da capo, superando l'angoscia ed il dolore per i miei cari persi per sempre, ma avrò vicino a me la mia famiglia.






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