lunedì 20 aprile 2015

NAPOLI

Ricordo bene la mia prima visita a Napoli, avevo quattro anni, il lunghissimo viaggio era stato effettuato a bordo di una Ford Anglia celeste chiaro, esattamente come quella che avete visto nel film "Harry Potter e la camera dei segreti".

In un certo senso fu un viaggio fantastico, mio padre sedeva davanti, al volante un amico di famiglia che si stava recando dai propri parenti e che si era offerto di portarci direttamente a casa della mia nonna paterna, piovve ininterrottamente da Brescia fino a Roma, mio fratello aveva due anni e dormì per quasi tutto il viaggio, all'arrivo a Napoli una splendida luna piena ci accolse facendo capolino attraverso il loggiato su cui si affacciava l'appartamento di nonna Mina, Zia Clara corse ad abbracciarci, era una donna estroversa, molto affezionata a me, che porto lo stesso nome di suo padre.

L'appartamento della nonna era troppo piccolo per accoglierci, dall'altra parte della strada abitava mia zia Ciretta che ci mise a disposizione una camera matrimoniale con due lettini, mi addormentai di colpo, appena messo a letto con il pigiamino nuovo.

La mattina dopo corsi subito con mamma da zia Clara, il loggiato davanti all'ingresso dell'appartamento era bellissmo e dava su di un aranceto delimitato da un portale attraverso il quale si vedeva un Vesuvio talmente vicino che mi pareva quasi di poterlo toccare, i colori della vegetazione erano diversi da quelli di casa mia, il cielo era di un blu spettacolare.

Attraversando la strada  avevo udito grida e rumori che non avevo mai sentito, tutti gridavano, chi vendeva frutta cantava qualcosa che non capivo, chi vendeva pesce cantava una cantilena a squarciagola, chiesi a mia madre cosa volesero dire quelle che per me erano canzoni e lei mi spiegò che stavano dicendo quanto fossero belli frutti e verdura e di quanto fossero freschi i pesci che stavano vendendo, mia mamma capiva bene il napoletano, l'aveva imparato dalle canzoni in voga nel dopoguerra , mio padre non lo parlava mai a casa

Appena  dopo colazione con mamma e mio fratello andammo al mercato, ma non era come da noi, in piazza, con le bancarelle, qui c'era una via dove le auto continuavano a passare e le bancarelle strette e piccole erano sul marciapiede, mi fermai davanti ad una dove era esposto in vendita del pesce dietro il banchetto una bimba della mia età con i capelli neri e due grandi occhi scuri seduta su di uno sgabello di legno mi guardò sorridendo, notai che in un secchio c'erano delle "conchiglie" che si muovevano, mi avvicinai  e ricevetti in faccia uno spruzzo di acqua salata, lo sberleffo di un mitile che si era rintanato in fondo al secchio.

La frutta e la verdura  sembravano provenire da un altro mondo, i meloni gialli , i pomodori a grappolo ed i fichi d'india non li avevo mai visti, continuai a chiedere spiegazioni a mia madre che non si stancò di fornirmele.

Verso mezzogiorno tornammo a casa della Nonna Mina dove dovetti attendere un ora e mezza prima di mettermi a  tavola, la mia pancia brontolava rumorosamente, ma la pastasciutta di zia Clara fu uno squisitezza e l'incontro con il pane di grano duro fu una sorpresa, saporito, dalla crosta spessa e scura, una meraviglia.

Mio padre proveniva da una famiglia poverissima, lui ed i suoi sette fratelli restarono senza padre in piena guerra e dovettero dare una mano per tirare avanti, papà fu costretto ad abbandonare la scuola dove se la cavava benissimo e la cosa gli pesava ancora a distanza di tanti anni; nonno Arturo era stato cacciato dalle regie ferrovie, dove svolgeva il lavoro di capotecnico, a causa del suo reiterato rifiuto ad iscrivesi al partito fascista, finì i propri giorni lavorando al silurificio di Baia dove assistette ai sabotaggi dei siluri aeronautici da parte di un ingegnere che alla fine della guerra venne processato ed assolto dall'accusa di sabotaggio.

Mio padre mal sopportava il chiasso ed un certo modo di essere guitto tipico di parte del popolo partenopeo, mi rendevo conto di quanto mal sopportasse il caos e le discussioni interminabili del dopo cena, sapevo che entro pochi giorni saremmo ripartiti perchè era chiarissimo quanto poco avrebbe sopportato il modo di vivere da cui se ne era andato a diciassette anni.

Papà è stato un militare molto poco militarista, ma profondamente legato ai propri doveri ed al proprio lavoro, lo capii sedici anni più tardi quano ebbi modo di vedere la sua competenza ed il profondo rispetto e la grande stima nei suoi confronti da parte dei suoi subalterni.

Il rientro fu un interminabile viaggio in treno, noioso, rumoroso, ne ho un ricordo poco piacevole, il ritorno alla casa della nonna fu una sorpresa, i colori del cielo, delle tende, della verdura erano molto meno vivaci di quelli visti a Napoli, i meloni erano giallini, i pomodori grossi, ma pieni di acqua ed il pane era smorto o molto meno saporito di quello di zia Clara.

Quando venni operato nel mellenovecentonovanta (VEDI IL POST "IL BUIO E LA NOTTE") mia zia Clara prese il treno e venne a vedere come  ero messo, averla intorno in quei giorni difficili fu una vera sorpresa, era affettuosa ed allegra, mi diede una mano con la sua presenza.

Purtroppo non ebbi altro modo di vederla, morì durante un intervento chirurgico, di "malasanità" si scriverebbe oggi.

 Nessuno dei miei numerosi zii e zie paterni è ancora in vita e questo ha spezzato il cordone ombelicale che mi legava alla città partenopea,  che continua a mancarmi con i suoi pregi e difetti ed i suoi cieli color  zaffiro.

Ancora scusa per gli errori di battitura della prima stesura, prima o poi mi deciderò a rileggere quanto scrivo.....










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