Nacqui in una famiglia di tessitori,
ero cresciuto fra tessuti sgargianti e gli odori forti dei prodotti
per la tintura, la nostra famiglia aveva l'onore di rifornire il
monastero più importante della nostra provincia ed io, figlio
primogenito ebbi l'onore di tentare l'ingresso nel monastero.
A cinque anni venni condotto davanti
alla porta del monastero e lì venni lasciato, vi ero stato condotto da mio padre, “vedi Galo, ti attende una vita complicata, di
sacrifici, ma come ti aveva predetto il santone un anno fa, i
sacrifici in questa vita ti porteranno grandi benefici nella
prossima”, “Padre, ma io vivo già in una famiglia rispettabile,
perchè devo sottopormi a privazioni e fatiche dato che sono nato
nella tua rispettabile famiglia?”, mio padre si scurì in volto,
l'avevo messo in difficoltà, mia madre non era voluta venire, non mi
aveva neppure salutato quella mattina, il proprio dolore era grande
ed incontrollabile, mio padre preferì non arrecarle ulteriore
sofferenza, “Padre, se tu ritieni che entrare nel monastero sia una
cosa saggia, io lo farò”.
Dopo un breve saluto venni lasciato
davanti alla grande porta, in attesa di entrare, pensai, ma nessuno
venne ad aprirmi, il sole illuminava le cime delle vette ed io non
sapevo che fare, iniziai a giocare con dei sassi, ne feci un piccolo
cumulo e poi tentai di colpirlo prima da venti passi, poi da trenta,
appena finii di giocare iniziai a contare gli uccelli in cielo, il
sole era ormai alto quando la porta si aprì ed apparve l'essere più
spaventoso che avessi mai visto, un grasso monaco con la tunica
sudicia mi afferrò per il bavero, “quale uccello avrà mai
lasciato questo schizzo di merda davanti al sacro monastero?”,
ribattei che mi chiamavo Galoon Dongstan e che la tunica che aveva
così mal tenuto era opera della mia rispettabile famiglia.
Venni scaraventato a terra “vattene,
non c'è posto per i figli dei commercianti e dei macellai”, con
uno scatto tentai di intrufolarmi fra le grosse gambe del monaco, ma
ricevetti un calcio che mi ribattè indietro. Mi sedetti davanti alla
porta, e piansi tutte le lacrime di cui disponevo, pensavo a mia
madre, a quest'ora a casa si serviva il riso dolce con il thè nero,
oramai non potevo tornare indietro, avrei disonorato mio padre e la
mia famiglia, sconsolato e molto pensieroso attesi così fino a sera,
il freddo mi stava intorpidendo le dita delle mani e dei piedi,
nessuno durante tutto il giorno era più uscito ed io mi ero convinto
che non mi avrebbero potuto lasciare morire fuori dalla porta, poi la
notte cadde velocemente ed io battei i denti talmente forte da
pensare che si sarebbero rotti, poi mi colse il torpore e mi
addormentai sapendo che chi si addormenta al freddo è destinato a
morire in un ultimo barlume di consapevolezza sperai che mio padre
alla notizia della mia morte avrebbe cessato le forniture delle vesti al
monastero.
Aprii gli occhi davanti ad un braciere,
“Buongiorno!” chi mi aveva apostrofato era una persona anziana
che portava con grande dignità la veste color zafferano, “cinque
anni e ti saresti lasciato morire pur di non fallire?”, con un filo
di voce gli dissi che non potevo disonorare mio padre, “ nessun
padre vorrebbe vedere morto il proprio figlio”, gli risposi che non
sarebbe stato lui ad uccidermi, ma loro, il mio interlocutore aprì
il viso ad un enorme sorriso “sei saggio, ed hai la ligua molto
affilata, mangia qualcosa Gal, domattina avrai molte cose da fare”.
Mi svegliò il canto dei monaci, era
ancora buio, un ragazzo della mia età mi disse di lavarmi e vestirmi
in tutta fretta, mi avrebbe accompagnato alla lezione, ma prima
dovevo assistere al sutra del cuore, feci il più in fretta possibile
ed entrai nella grande stanza giusto per l'inizio, il monaco anziano
che mi aveva accolto stava per iniziare.....
Immerso nella saggezza suprema
davanti a monaci e Bodhisattva riuniti, Kannon (Avalokitesvara)
Bodhisattva della compassione, risponde all'allievo Shariputra
insegnando la dottrina del vuoto.
Oh Shariputra, la forma non è che vuoto, il vuoto non è che forma;
ciò che è forma è vuoto, ciò che è vuoto è forma;
lo stesso è per sensazione, percezione, discriminazione e coscienza.
Tutte le cose sono vuote apparizioni, Shariputra.
Non sono nate, non sono distrutte, non sono macchiate, non sono pure;
non aumentano e non decrescono.
Perciò nella vacuità non c'è forma né sensazione, né percezione, né discriminazione, né coscienza;
Non ci sono occhi né orecchi, naso, lingua, corpo, mente;
Non ci sono forma né suono, odore, gusto, tatto, oggetti;
né c'è un regno del vedere,
e così via fino ad arrivare a nessun regno della coscienza;
non vi è conoscenza, né ignoranza,
né fine della conoscenza, né fine dell'ignoranza,
e così via fino ad arrivare a né vecchiaia né morte;
né estinzione di vecchiaia e morte;
non c'è sofferenza, karma, estinzione, via;
non c'è saggezza né realizzazione.
Dal momento che non si ha nulla da conseguire, si è un bodhisattva.
Poiché ci si è interamente affidati alla prajna paramita,
la mente non conosce ostacoli;
dal momento che la mente non conosce ostacoli
non si conosce la paura, si è oltre il pensiero illusorio,
e si raggiunge il Nirvana.
Poiché tutti i Buddha
del passato, del presente e del futuro
si affidano interamente alla prajna paramita, conseguono la suprema illuminazione.
Sappi dunque che la prajna paramita è il grande mantra,
il mantra più alto,
il mantra supremo e incomparabile,
capace di placare ogni sofferenza.
Ciò è vero.
Non è falso.
Perciò io recito il mantra della prajna paramita,
Che dice:
andate, andate, andate insieme all'altra sponda, completamente sull'altra sponda, benvenuto risveglio!
Oh Shariputra, la forma non è che vuoto, il vuoto non è che forma;
ciò che è forma è vuoto, ciò che è vuoto è forma;
lo stesso è per sensazione, percezione, discriminazione e coscienza.
Tutte le cose sono vuote apparizioni, Shariputra.
Non sono nate, non sono distrutte, non sono macchiate, non sono pure;
non aumentano e non decrescono.
Perciò nella vacuità non c'è forma né sensazione, né percezione, né discriminazione, né coscienza;
Non ci sono occhi né orecchi, naso, lingua, corpo, mente;
Non ci sono forma né suono, odore, gusto, tatto, oggetti;
né c'è un regno del vedere,
e così via fino ad arrivare a nessun regno della coscienza;
non vi è conoscenza, né ignoranza,
né fine della conoscenza, né fine dell'ignoranza,
e così via fino ad arrivare a né vecchiaia né morte;
né estinzione di vecchiaia e morte;
non c'è sofferenza, karma, estinzione, via;
non c'è saggezza né realizzazione.
Dal momento che non si ha nulla da conseguire, si è un bodhisattva.
Poiché ci si è interamente affidati alla prajna paramita,
la mente non conosce ostacoli;
dal momento che la mente non conosce ostacoli
non si conosce la paura, si è oltre il pensiero illusorio,
e si raggiunge il Nirvana.
Poiché tutti i Buddha
del passato, del presente e del futuro
si affidano interamente alla prajna paramita, conseguono la suprema illuminazione.
Sappi dunque che la prajna paramita è il grande mantra,
il mantra più alto,
il mantra supremo e incomparabile,
capace di placare ogni sofferenza.
Ciò è vero.
Non è falso.
Perciò io recito il mantra della prajna paramita,
Che dice:
andate, andate, andate insieme all'altra sponda, completamente sull'altra sponda, benvenuto risveglio!
Ero stupito, quale
era la condizione in cui tutto quello che conoscevo non esisteva?
Il Sutra del Cuore
mi era noto, ma oggi, mi poneva innanzi adomande che sapevo essermi già posto.
Venni condotto
insieme a numerosi ragazzi a fare colazione, thè con burro di yak,
poi a lezione.
Un giovane monaco
mi chiese di definire il termine "impermanenza” ed io risposi
“tutto, niente di quello che ci circonda è eterno neppure le
grandi montagne”, mia madre mi aveva spiegato molte volte che se la
vita è un continuo divenire tutto è decadimento e nulla è per più
di qualche attimo, nasciamo e moriamo e così fanno gli animali e le
cose, e solo noi, come spiriti siamo eterni, vita dopo vita nella
condanna alla reincarnazione.
Il giovane monaco
allora mi chiese come si potesse sfuggire alla condanna della
reincarnazione, gli risposi che visto che mi era stato predetto che
avrei avuto benefici nella prossima vita avrei voluto raggiungere
tale stato in quella successiva; gli alunni scoppiarono a ridere, ma il
giovane monaco andò su tutte le furie e così toccò a me pulire la
grande sala in cui era stato recitato il Sutra del Cuore.
Mentre pulivo con
attrezzi troppo grandi per un bimbo di cinque anni, il vecchio monaco
che mi aveva accolto mi passò accanto e mi apostrofò “la tua
lingua ha mietuto un altra vittima?” sorrisi a questa persona che
mi ispirava una grande fiducia, “non volevo offendere nessuno, ho
solo detto ciò che pensavo”, "ed è un pregio mio piccolo amico, ma
io temo che tu sappia molto più di quanto mostri di sapere e
certamente più di quanto possano far presupporre i tuoi cinque anni,
vieni lascia le pulizie, dobbiamo parlare".
Fui un fiume in
piena, si, il sutra del cuore lo sapevo a memoria, ma non perchè
l'avessi imparato, lo sapevo e basta, come mi sembrava di conoscere
il monastero ed anche chi avevo davanti, i ricordi affioravano ad
ondate, sapevo chi fosse, come si chiamava, e sapevo che avremmo
dovuto incontrarci lì ed allora.
Lacrime uscirono
copiose dai miei occhi, erano lacrime di gioia, ero tornato a casa e
stavo riprendendo un cammino troppo presto interrotto nella mia vita
precedente ed avevo un vecchio amico che mi avrebbe guidato.
Replica di un manoscritto sanscrito su foglia di palma del 609 contenente il Sutra del Cuore
Una parte del Sutra del Cuore dal film il piccolo Buddha di Bernardo Bertolucci
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